I bovini insieme agli ovini e ai caprini appartengono al mondo dei ruminanti.
Cosa significa? Perché sono così unici nel mondo dei mammiferi e così speciali? Sono in grado di mangiare erba, foglie, paglia e quindi cellulosa per nutrirsi, crescere, partorire, allattare senza la necessità di mangiare cibi più raffinati, proteici o ricchi di amido. Insomma, i bovini mangiano ciò che i monogastrici, come gli onnivori e i carnivori, non sono in grado di fare.
Nella catena alimentare di un ecosistema sono le prede, cibo per i predatori. Gli uomini, fin dall’antichità, quando è nata l’agricoltura nella mezzaluna fertile del medio oriente, li hanno addomesticati e selezionati per la produzione del latte, dei formaggi, della carne e per lavorare i campi: si è lentamente instaurata una relazione di mutualismo con la specie umana.
Eppure, tutti i ruminanti amano moltissimo le granaglie: per loro sono il dolcetto.
Tuttavia l’erba e le foglie sono la base della loro alimentazione. Così come per noi i troppi dolci non sono salutari, così per i bovini un’alimentazione ricca di granaglie acidifica e impigrisce il rumine. Pensate: i bovini hanno 4 stomaci ricchi di microorganismi che partecipano al processo della digestione. All’interno dei loro stomaci (come del resto anche nella nostra bocca e nel nostro intestino) esiste un complesso ecosistema, abitato da miriadi microorganismi che mantengono un equilibrio prezioso e che permettono che i processi digestivi funzionino.
Ecco perché le feci dei bovini sono così importanti per la fertilità dei suoli: pullulano di microorganismi e materia organica. Nel terreno, gli stessi microorganismi insieme agli insetti e alla microflora e fauna del terreno decompongono le fatte e le trasformano in preziosissimo humus. I semi che i bovini in natura ingeriscono interi si ritrovano nelle feci e contribuiscono a mantenere e ad incrementare la biodiversità dei pascoli.
Tutto questo costituisce un sistema complesso, meraviglioso e resiliente, sempre che non lo si rovini con i farmaci, i pesticidi o con una gestione errata.Ma allora, perché gli uomini decisero di dare anche un po’ di farina o granaglie schiacciate ai bovini?
In agricoltura è necessario utilizzare sistemi gestionali resilienti, cioè in grado di sopperire alle avversità climatiche. Una stagione asciutta, oppure situazioni climatiche come quelle del nostro Mediterraneo non garantiscono la presenza dell’erba tutto l’anno. Uomini ingegnosi del passato hanno scoperto che l’erba che cresce rapida e in eccedenza in primavera può essere essiccata e conservata sotto forma di fieno e se il fieno è fatto con maestria mantiene qualità nutritive eccellenti.
Ma a volte per dare agli animali più energia nelle stagioni fredde oppure per sopperire a fieni poveri e nutrirli nei periodi di siccità o gelo sono state inserite nella loro dieta, anche un po’ di granaglie; poche perché sono alimenti necessari anche all’uomo. Lo è stato fatto per permettergli di vivere meglio. Era una questione di utile impiego delle risorse. Un po’ di cibo umano veniva dato loro per ricevere in cambio latte per i formaggi e proteine dalla carne.
I tori erano allevati per la riproduzione e il lavoro, le vacche sempre per la riproduzione, il lavoro e il latte. Gli animali non erano così specializzati come le frisone attuali o le limousine da carne: animali in grado di produrre 40 l di latte al giorno ma che vengono riformati dopo due sole lattazioni; vitelloni da ingrasso con ossa sottili e muscolature immense, non più adatti a pascolare, che devono essere macellati a 18 mesi: il mangime serve a rifornirli di grasso in abbondanza in tempi brevi.
L’industria vuole standard produttivi veloci e uniformi. Quindi si è smesso di pensare al benessere e alla salute degli animali e si sono voluti standardizzare i sistemi di produzione e la gestione. Sono nati i carri unifeed che mescolano le sostanze nutritive in base a rigidissime tabelle nutrizionali. Si consumano razioni che prevedono più granaglie che fieno e si usano gli insilati di mais. Gli animali non si possono muovere con agio. Si è accreditata la falsa credenza che il movimento renda le carni dure e che con il crescere dell’età la qualità della carne peggiori.
Questo sistema si è inceppato ed è diventato costoso e obsoleto; non rispetta il benessere animale e il benessere di chi ci lavora, richiede enormi risorse esterne e medicinali, per non parlare della scarsa qualità e salubrità della carne e del latte che ne derivano.
Si parla molto della Vacca Vecchia Galiziana (in spagnolo vaca vieja galleg): è tra le carni più apprezzate e ricercate al mondo. Chi ha avuto la fortuna di assaggiarla ne è rimasto entusiasta. Le caratteristiche organolettiche di questa carne – sapore intenso, profumo unico, spessa corteccia di grasso giallo – sono dovute ad un allevamento al pascolo. Bravi gli spagnoli? Si bravi perché hanno valorizzato dando un nome evocativo ad un allevamento dietro al quale c’è una filosofia ben precisa. Ma una cosa è certa: stiamo parlando di una carne pregiata, molto apprezzata ovunque venga proposta.
Con l’espressione Vacca Vecchia Galiziana non si vuole indicare una razza specifica, ma tutte le razze allevate in Galizia (comunità autonoma della Spagna situata a nord-ovest della penisola iberica). Ad ogni modo, quando si parla della Vacca Vecchia occorre fare un’ulteriore precisazione: è bene porre attenzione più sul singolo capo (il cui peso va dai 450 chili a una tonnellata) che sulla razza. Perché gran parte di queste vacche in realtà sono frutto di incroci e quindi ciò che è importante non è il loro ceppo di appartenenza ma il singolo esemplare, vale a dire come è cresciuto e maturato nel corso della sua vita. I bravi macellai apprezzano molto la carne di una bella vacca matura. La danese o la fiorentina sono vacche adulte di razza chianina oppure danese.
Abbiamo deciso di lavorare per i nostri clienti questi bellissimi capi: le vacche meticce oppure limousine o marchigiane allevate in azienda come fattrici esclusivamente al pascolo. Hanno partorito diverse volte nel corso della loro vita. Sono di grandi dimensioni e possono avere anche un discreto numero di anni ma sono in ottima salute e ben ricoperte di muscolo e grasso. Può succedere per svariati motivi che una vacca smetta di partorire oppure che si decida di allevare capi più giovani. Allora decidiamo di macellarla e di venderla. Non è la vacca consunta o vecchia di un allevamento che l’ha sfruttata; è un capo grande, importante e che ha acquistato nel corso della sua vita al pascolo anche caratteristiche molto pregevoli da un punto di vista nutrizionale e organolettico.
La loro vocazione, in realtà, è quella di partorire, allattare e svezzare i vitelli. Pascolano libere tutto il giorno mangiando erba e foraggi, alimenti che, assorbendo gli umori del clima, trasferiscono alla carne profumi e sapori. La chiameremo, in italiano, la vacca vecchia allevata al pascolo e ad erba per non continuare a utilizzare i soliti anglicismi.
“È arrivato il momento di demolire il luogo comune che vuole che la carne migliore sia quella di animali giovani e che gli animali anziani debbano essere scartati, buttati via perché inutili, buoni per il brodo. Non è affatto vero: la vacca vecchia ha una carne ricca di qualità e di complessità, ricca di sapore, di carattere, è una carne che ha un’identità. Per l’industria è stato conveniente comunicarci il contrario e noi ce la siamo bevuta, perché ovviamente allevare un animale costa. Ribaltiamo queste credenze e ridiamo dignità all’animale stesso, che non è più uno scarto, ma una risorsa preziosa per l’identità di un allevatore e di un territorio.” (Paolo Parisi)
Quest’autunno avremo 3 belle marchigiane per voi.
Dalla prossima primavera inizieremo una linea di manze allevate esclusivamente all’erba (grassfed). Le lasceremo sempre all’aperto. Si nutriranno con l’erba dei pascoli e il fieno degli erbai. Raggiungeranno un‘età di 30 mesi. Saranno destinate esclusivamente alla vendita diretta.
Il segreto della qualità risiede nel tempo e nella terra, cose che costano. Perché dentro al tempo e alla terra c’è tutto: il cibo da dare agli animali, il mantenimento e le cure, la manodopera, la bassa produttività e soprattutto l’attesa…
Anna
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