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“La pandemia è un monito: dobbiamo prenderci cura della terra, la nostra unica casa”

La crisi climatica assomiglia a un enorme prigione di entità planetaria, che intrappola l’umanità in un ambiente in continuo deterioramento

Sono rimasta molto colpita da un articolo del filoso e antropologo Bruno Latour.                   

 La suggestione di considerare lo spazio che abitiamo sulla terra come una cupola ,degna dei migliori film di fantascienza, può capovolgere completamente il nostro modo di pensare e di agire. La nostra società occidentale tecnologica e avanzata non si è mai posta limiti. L’umanità è stata presa da un hybris  di onnipotenza .

 Non possiamo  vivere altrove.  Non vogliamo. Per ora questo è il nostro pianeta e gli apparteniamo.

Bruno Latour è un filosofo e un antropologo .E’ l’autore del libro “ Dopo il Lockdown: una metamorfosi”.

“C’è un momento in cui una crisi senza fine si può tramutare in uno stile di vita.  E dall’avvento della pandemia, questo sembra essere il caso. Se così fosse, sarebbe  saggio esplorare la perenne condizione in cui ci ha lasciato. Una lezione ovvia è che le società devono imparare ancora una volta a convivere con gli agenti patogeni, proprio come impararono quando Louis Pasteur e Robert Koch resero visibili i microbi grazie alle loro scoperte.

Queste scoperte riguardavano solo un aspetto della vita microbica. Ma quando si considerano anche le varie scienze del sistema terra, viene alla ribalta un altro aspetto che riguarda i  virus e i batteri. Durante la lunga storia geochimica della terra, i microbi, insieme ai funghi e alle piante, sono stati essenziali, e sono ancora essenziali, per la composizione stessa dell’ambiente in cui vive l’intera umanità. La pandemia ci ha dimostrato che non sfuggiremo mai alla presenza invasiva di questi esseri viventi; siamo avviluppati ,insieme a tutti questi minuscoli esseri in ogni momento della nostra vita perchè reagiscono alle nostre azioni. Se mutano, dobbiamo mutare anche noi.

Ecco perché i tanti lockdown nazionali, imposti ai cittadini per aiutarli a sopravvivere al virus, sono una potente analogia della situazione in cui l’umanità si trova a vivere  cioè rinchiusa  per sempre. Il lockdown è stato abbastanza doloroso, eppure sono stati trovati molti modi, grazie anche alla vaccinazione, per consentire alle persone di riprendere una parvenza di vita normale. Ma non c’è possibilità di una tale ripresa se si considera che tutte le forme viventi sono bloccate per sempre entro i limiti della terra. E per “terra” non intendo il pianeta come può essere visto dallo spazio, ma il suo fine strato, una pellicola molto sottile, lo strato superficiale della terra in cui viviamo, e che è stato trasformato in un ambiente abitabile dal lavoro dell’evoluzione durante innumerevoli eoni.

Questa sottile matrice è ciò che i geochimici chiamano la “zona critica”, l’unico strato di terra in cui la vita terrestre può prosperare. È in questo spazio finito che esiste tutto ciò che conta per noi e tutto ciò che abbiamo mai incontrato. Non c’è modo di sfuggire alla nostra esistenza legata alla terra; come gridano i giovani attivisti per il clima: “Non esiste un pianeta B”. Ecco la connessione tra i lockdown dovuti al Covid che abbiamo vissuto negli ultimi due anni, e lo stato di lockdown molto più ampio ma definitivo in cui ci troviamo: siamo intrappolati in un ambiente che abbiamo già alterato in modo irreversibile. Se siamo stati resi consapevoli dell’azione che producono i virus nel plasmare le nostre relazioni sociali, ora dobbiamo fare i conti con il fatto che anche loro si modificheranno per sempre grazie alla crisi climatica e alle rapide reazioni degli ecosistemi alle nostre azioni. La sensazione di vivere in un nuovo spazio appare di nuovo a livello locale e globale. Perché tutte le nazioni dovrebbero riunirsi a Glasgow per mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto di un limite concordato, se non avessero avuto la sensazione che un enorme coperchio è stato messo sul loro territorio? Quando guardiamo  il cielo azzurro , non ci rendiamo forse conto che siamo sotto una sorta di cupola all’interno della quale siamo imprigionati?

È finita per noi l’idea dello  spazio infinito; ora siamo  responsabili della sicurezza di questa cupola sovrastante tanto quanto lo siamo per la nostra salute e ricchezza. Pesa su di noi , corpo e anima. Per sopravvivere in queste nuove condizioni dobbiamo subire una sorta di metamorfosi. È qui che entra in gioco la politica. È molto difficile per la maggior parte delle persone abituate allo stile di vita industrializzato, con il  sogno di spazi infiniti e della incontenibile  presunzione  dell’emancipazione , della crescita e dello sviluppo , percepire improvvisamente che invece siamo avvolti, confinati, nascosti all’interno di uno spazio chiuso in cui tutte le nostre preoccupazioni  sono condivise  con nuove entità: altre persone, naturalmente, ma anche virus, suoli, carbone, petrolio, acqua e, peggio ancora, questo maledetto clima in costante cambiamento. Questo spostamento così disorientante è senza precedenti, persino cosmologico, ed è già fonte di profonde divisioni politiche. Sebbene la frase “tu ed io non viviamo sullo stesso pianeta” fosse una scherzosa espressione di dissenso, è diventata vera della nostra realtà attuale. Viviamo su pianeti diversi, con persone ricche che impiegano vigili del fuoco privati e cercano e costruiscono  bunker per difendersi dagli eccessi climatici, mentre le loro controparti più povere sono costrette a migrare, soffrire e morire tra le peggiori conseguenze della crisi.

Questo è il motivo per cui è importante non fraintendere l’enigma politico della nostra epoca attuale.  E’ un evento della portata delle scoperte avvenute dal  17° secolo in poi. Gli occidentali hanno dovuto passare dal cosmo chiuso del passato allo spazio infinito del periodo moderno. Mentre il cosmo sembrava aprirsi, le istituzioni politiche dovevano essere reinventate per lavorare attraverso le nuove e utopiche possibilità offerte dall’Illuminismo. Ora, al contrario, lo stesso compito spetta alle generazioni attuali: quali nuove istituzioni politiche potrebbero escogitare  per far fronte a persone così divise da sembrare appartenere a pianeti diversi? Sarebbe un errore credere che la pandemia sia una crisi che finirà. E’ invece l’avvertimento perfetto che ci mette in guardia rispetto a ciò che sta arrivando, quello che io chiamo il nuovo regime climatico. Sembra che tutte le risorse della scienza, delle scienze umane e delle arti dovranno essere mobilitate ancora una volta per spostare l’attenzione sulla nostra condizione terrestre condivisa.”

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Ma è solo una questione di corna il problema della Biodinamica?

Riportiamo nel nostro blog, l’articolo apparso recentemente su Dagospia circa il grande dibattito che si è aperto sulla Biodinamica a seguito dell’intervento in Senato di Maria Elena Cattaneo. Nell’articolo è riportata la risposta di Anna Federici (imprenditrice agricola) a Mattia Feltri, intervenuto sul tema sul quotidiano LA STAMPA.

Ha scandalizzato scienziati e politici, ha sollazzato Mattia Feltri, l’approvazione in senato fra agricoltura biologica e biodinamica. Perché entrano in scena, per migliorare la qualità della produzione, corna di vacca o vesciche urinarie di cervo

A tutti replica un bio-agricoltore, Anna Federici: “Si sono mai chiesti cosa c’è all’interno di un corno di mucca? Non è uno stregone anche l’agronomo che gira per le campagne proponendo prodotti a base di ormoni miracolosi che fanno crescere le piante oppure diserbi e insetticidi chimici sterminatori?” Qual è la ‘’vera scienza’’?’’

La Vacca Spaziale di Mattia Feltri – LA STAMPA

“Ieri in senato è stata approvata l’equiparazione fra agricoltura biologica e biodinamica. Sono questioni di cui so meno di poco. In particolare pensavo che l’agricoltura biodinamica fosse una variante fondamentalista della biologica, ma un amico mi ha letteralmente ordinato di leggere l’intervento – disperato e spettacolare – tenuto dalla scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo.

Ho scoperto un mondo. I disciplinari internazionali di agricoltura biodinamica prevedono una forma di concimazione secondo il riempimento con letame di un corno di vacca primipara, quindi sotterrato in autunno e dissotterrato a Pasqua, infine miscelato e dinamizzato con acqua piovana o di pozzo; il gran beneficio deriva dalla capacità del corno di vacca, sinché la vacca è in vita, di catturare i raggi cosmici che si irradieranno poi nei campi per un raccolto galattico. La senatrice ha illustrato anche la dottrina della vescica di cervo imbottita di fiori di achillea, ma non mi fidavo più.

Sono andato a prendermi i disciplinari e li ho studiati. Aveva ragione lei. Sono il testo sacro della buona e sana agricoltura in collaborazione con le forze dell’universo, i vasi di terracotta, i crani ricolmati di corteccia di quercia e, se ho capito bene, basata sulle teorie della reincarnazione.

Intendiamoci, liberi tutti di produrre o pretendere cibo in armonia con alfa centauri, ma l’esito della legge è che la vescica di cervo si potrà finanziare coi contributi dello stato: nonostante la strenua opposizione di Elena Cattaneo, il senato ha detto sì alla vacca spaziale. Ma in fondo che ci importa? Tanto abbiamo il Recovery.”

Mattia feltri si è mai chiesto cosa c’è all’interno di un corno di mucca?

Anna federici, mail a Dagospia di Anna Federici, a capo di un’azienda agricola biodinamica

Premesso che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare, vorrei replicare a Mattia Feltri che fa lo spiritoso perché si parla di utilizzare un preparato che si è maturato all’interno di un corno di mucca. Bene, si è mai chiesto cosa c’è all’interno del corno? Ebbene, c’è una miriade di microorganismi che si moltiplicano esponenzialmente se disciolti in acqua calda.

Guarda caso molti di questi microorganismi sono funghi e batteri, responsabili della degradazione della materia organica in humus. Il teosofo tedesco Rudolf Steiner ne parlava in termini “esoterici”, ne esaltava la meraviglia. Mi domando: non è uno stregone anche l’agronomo che gira per le campagne proponendo prodotti a base di ormoni miracolosi che fanno crescere le piante oppure diserbi e insetticidi chimici sterminatori?

Quale agricoltore non vi è incappato? Sono questi risultati della ‘’vera scienza’’? Quali sono state, e sono, le conseguenze dei pesticidi, dei concimi chimici e degli allevamenti intensivi (anche biologici) sull’ambiente? Gli esempi e le vittime sono purtroppo numerosissimi.

Ancora vi chiedo dove è la ‘’vera scienza’’? La scienza indaga, studia, conosce ed è pronta a ritrattare. La scienza non detta legge. La scienza è un campo aperto: analizza il fenomeno in laboratorio e si confronta con il sistema complesso qual è un qualsiasi essere vivente o un ancor più vasto organismo qual è un ecosistema in cui convivono piante, animali, umani, microrganismi tutti interagenti fra loro. Si scopre che l’antico è migliore del nuovo.

La ricerca vuole indagare lo studio della complessità, e questo ambizioso e nobile scopo è possibile solo attraverso la partecipazione sistemica delle varie e numerose discipline. Si sta forse parlando di un nuovo umanesimo? Partendo dal presupposto che la terra è architettura, il padiglione Italia della 21esima Biennale di Venezia, curato in maniera geniale da Alessandro Melis e intitolato “comunità resilienti”, ne è il paradigma.

Un padiglione che non è piaciuto agli architetti ma ha eccitato biologi, ingegneri, filosofi, fisici, agricoltori e agronomi. E tutti insieme hanno lavorato per un’architettura che diventa medicina ecologica in sintonia con la madre terra. Così lo racconta Pierluigi Panza sul “Corriere della Sera”: “questi alambicchi hanno nomi da trattato teosofico: lo Sprandel è un insieme di biosfere che contengono semi di piante alimentari la cui crescita non è deterministica; il Genoma sono biosfere vitree ove crescono piantine in maniera variabile e lo Slime-mold è un fungo mucillaginoso pluricellulare «e resiliente» posto in una parete di vetro che crescerà e farà da frangisole. C’è anche la parete anti covid (ceramica bioattiva con particelle)”.

Vi prego, ancora un po’ di attenzione. Come si potrà ancora vivere insieme? Questo è il tema che madre terra ci chiede di studiare. Leggiamo ancora: “l’agricoltura è l’espressione dell’incontro tra uomo e natura, il quale influisce attivamente sui processi naturali”. Ancora: “…i prodotti di questa agricoltura devono orientarsi verso l’essere dell’uomo per poter veramente assolvere al proprio compito di diventare il cibo per la vita. L’allevamento, insieme al letame prodotto, è stato e sarà la base per la produzione agricola.

L’allevamento richiede la coltivazione di piante destinate all’alimentazione degli animali; l’allevamento dei bovini in particolare, richiede la produzione di foraggio grezzo ed e quindi un fattore determinante per l’impostazione della rotazioni colturale. La produzione vegetale è determinata dalle esigenze alimentari di uomo e animale e richiede che il suolo sia trattato con cura. Una coltivazione adatta al luogo tiene conto delle esigenze della pianta e del suolo, dell’animale e dell’uomo. Ecologia e agroecologia: visione sistemica”.        

Ed a proposito delle famigerate corna dei nostri bovini: “le corna dei ruminanti sono importanti per lo sviluppo delle forze vitali… Sono una parte dell’essere totale della vacca. Rispetto ad altri tipi di animali, il letame bovino ha un effetto particolarmente stimolante sulla fertilità del suolo. Le corna hanno anche una grande importanza come involucro nella produzione dei preparati biodinamici.”

Ed aggiungo che i recenti studi sull’etologia dei bovini hanno dimostrato l’importanza delle corna nelle costituzione delle gerarchie di una mandria, aspetto fondamentale per la resilienza del gruppo che vive al pascolo. Un linguaggio magico può essere tradotto anche in termini “scientifici- razionali”. E’ vera scienza invece tagliare le corna agli animali o selezionare animali senza corna?                                                                                            

Dove sono gli aspetti ecologici, e la difesa della biodiversità che abbiamo purtroppo perduto per incuria e per spavalda arroganza? Le pratiche biodinamiche e agro-ecologiche ci chiedono di far sì che la coltivazione, la trasformazione, la distribuzione dei nostri alimenti siano eseguite nel rispetto massimo dell’ambiente.

Biodiversità in Azienda Agricola Boccea

La responsabilità nei confronti dell’uomo e dell’ambiente devono essere alla base di ogni fase del processo. Ancora: ”l’agricoltura e la lavorazione biodinamica hanno il potenziale per dare contributi pratici per aiutare a risolvere le molteplici e gravi crisi che stanno colpendo il mondo vivente, compresi i cambiamenti climatici, il degrado del suolo, l’inquinamento e la perdita di biodiversità.  

A tal fine gli agricoltori dovrebbero tenere conto della loro responsabilità verso i sistemi ecologici locali, globali e verso il benessere delle generazioni future quando riflettono sulle loro imprese e prendono decisioni sulle loro attività”. È un parlare non solo agricolo, è anche politico, sociologico, filosofico, biologico. Forse per questo oggi nelle università si studia l’agro-ecologia, termine purtroppo meno poetico però più razionale .

Questo link https://www.demeter.it/wp-content/uploads/2015/08/standard-produzione-demeter-aggiornamento-2-2014.pdf vi connette al manuale degli standard dell’agricoltura biodinamica.

Si tratta di oltre 140  pagine le cui parole chiave sono: ecologia, sviluppo umano, creazione di valore economico, rapporto sociale, sostenibilità, libertà, solidarietà ,equità, olismo, rispetto, apertura mentale, impatto cosmico e spirituale empatia, senso di giustizia ricerca spirituale, responsabilità, interesse, partnership, correttezza, connessione con l’intero contesto.

Temi di studio assai cari all’agro-ecologia e all’agro-forestazione, discipline di studio innovative presenti nelle più importanti università europee e non solo.

Tre sono le pagine dedicate ai preparati che danno terribile scandalo (teschi, pelli di topo, corna di vacca o vesciche urinarie di cervo) all’interno di una parte del mondo scientifico meno interessato ad un approccio sinergico e multidisciplinare.

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Le api: un esercito instancabile e quasi invisibile a guardia della nostra salute e della biodiversità

Se domandassimo ad una qualunque persona di descrivere un’ape, sentiremmo spesso questa risposta “sono insetti a righe gialle che producono il miele”. Risposta vera, seppur molto riduttiva: non solo perché le api producono anche pappa reale, polline, propoli, cera e ..veleno ma anche e soprattutto perché grazie alla loro opera, la biodiversità ambientale e conseguentemente la varietà alimentare sono preservate.

Quando le api spariranno dalla faccia della terra, all’uomo resteranno pochi anni prima dell’estinzione”.

Questa affermazione, attribuita ad Albert Einstein, ci dovrebbe far capire quale sia l’importanza di questi piccoli insetti, vere e proprie sentinelle del livello di inquinamento ambientale, da cui dipende l’impollinazione dell’80% delle specie vegetali.

Si pensi che le api sono il terzo “allevamento” da reddito più importante del mondo: in prima e seconda posizione si trovano rispettivamente i bovini e i suini ed in quarta il pollame.

Come è mai possibile un insetto che, in gruppo, riesce a produrre circa 15 kg di miele per anno abbia un’importanza economica maggiore dei polli che producono uova e la cui carne è consumatissima in tutto il mondo?

La loro importanza risiede nel fatto che questi insetti, nella ricerca costante di nettare per la produzione di miele, entrano nel fiore, facendo una ‘doccia’ di polline (presente sugli stami, rappresenta il gamete maschile del fiore) che si attacca alla loro peluria; questo polline si depositerà poi nei successivi fiori su cui si poserà l’ape andando a fecondare l’ovulo (gamete femminile) che si trova alla base del fiore.

L’incontro tra il gamete maschile e quello femminile è l’evento che darà il via alla crescita di un seme, racchiuso in un involucro che è il frutto. Il seme, nelle condizioni adeguate darà origine a sua volta ad un’altra pianta, in un circolo virtuoso di vita e biodiversità.

Le api sono impollinatori altamente efficienti, infatti un singolo alveare di appena 20.000 esemplari (di norma un alveare arriva a contare 40.000 api) può impollinare un acro intero, cioè la bellezza di circa 4.000 mq. Che cosa succederebbe se questi insetti così piccoli eppure così importanti scomparissero, considerando il fatto che le api sono responsabili dell’impollinazione di ben 90 delle 115 principali coltivazioni mondiali?

La risposta è semplice ma incredibile: dovremmo rinunciare a tanti alimenti che pur fanno parte del nostro vivere e mangiare quotidiano: niente caffè al mattino, niente cacao e quindi cioccolato nelle fredde giornate invernali, nessun té .. dovremmo drasticamente diminuire il consumo di pomodoro, melone, cetrioli, anguria, albicocche, pesche, fragole, ciliegie, mele, mango, avocado, frutti di bosco, kiwi, pere, mandorle, zucca e zucchine ..ma soprattutto potremmo veder diminuire la disponibilità di prodotti caseari, perché l’impollinazione dell’erba medica, foraggio dei bovini da carne e da latte, avviene appunto grazie alle api.

Solo negli ultimi cinque anni, sono scomparsi 10 milioni di alveari nel mondo di cui oltre 200.000 in Italia e l’impollinazione artificiale è una pratica faticosa, lenta, costosa e poco efficiente. Nel perpetuo tentativo di produrre più cibo a prezzi più bassi, l’utilizzo di pesticidi la coltivazione intensiva di poche e selezionate colture, i cambiamenti climatici stanno distruggendo questa importantissima risorsa naturale, si pensi che il valore del servizio offerto gratis dalle api di tutto il mondo, è stato stimato in circa 265 miliardi di euro all’anno.

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Tutti Parlano di CO2 e dell’Amazzonia | Risposte alle Domande che Ci Facciamo

Questi  due  articoli  rispondono in maniera semplice ed esauriente alle domande basilari che tutti noi ci facciamo.

Qual è la differenza fra gli incendi provocati dagli indigeni e quella degli speculatori? Qual’è il vero polmone della terra? Ci può essere un metodo per utilizzare i boschi virtuoso e necessario per la loro salvaguardia?

Domande & Risposte | Gli incendi, l’anidride carbonica, il Brasile e la Bolivia

Da La Repubblica

Risponde Giorgio Vacchiano, ricercatore in pianificazione forestale all’ Università di Milano.


L’Amazzonia è il polmone del mondo o no?


No. Stime affidabili dicono che al massimo il 6% dell’ossigeno prodotto nel mondo ogni anno viene dall’ Amazzonia. La gran parte è prodotto dalle alghe foto sintetizzanti negli oceani. Quello che viene emesso dalle piante è solo una piccola parte. Altro ossigeno viene prodotto dai processi geologici di degradazione delle rocce.


Se la foresta diventasse una savana, non avremmo problemi di ossigeno?

Se per assurdo eliminassimo tutte le piante della terra, avremmo ossigeno ancora per 2000 anni.
Ci sono così tanti alberi che l’acqua evaporata dalle foglie crea “fiumi di vapore acqueo” nell’ aria. La foresta crea la propria pioggia. Se togliamo alberi, arriva un punto in cui non saranno più sufficienti a creare la pioggia che serve al sistema.


Quali sono i veri rischi provocati dagli incendi?

L’ anidride carbonica che questi incendi e la deforestazione liberano nell’ atmosfera aggrava il cambiamento climatico. Togliere o aggiungere Co2 fa più effetto che togliere o aggiungere ossigeno.


La liberazione di Co2 che cosa provoca?

L’anidride carbonica agisce come una coperta stesa nell’ atmosfera: fa passare il calore del sole in entrata. Il sistema contiene miliardi di tonnellate di carbonio che, se si liberano, renderanno il cambiamento climatico veloce e inarrestabile. L’ Amazzonia è un conto in banca di carbonio ricchissimo, ma non aumenta né diminuisce da solo.


Che valore ha l’Amazzonia per l’umanità?


Tiene intrappolato il carbonio, fornisce il 25% delle piante usate in medicina e ne ospita decine di migliaia sconosciute alla scienza.


Perché si parla solo di Brasile e non di Bolivia?

La figura dell’estremista di destra Bolsonaro attrae molto più l’attenzione rispetto al leader boliviano Evo Morales. Ma la politica di estrazione mineraria nell’ Amazzonia boliviana provoca anch’essa gravi conseguenze per l’ambiente.

NO AGLI SPECULATORI. MA NON CONDANNATE I ROGHI DEGLI INDIGENI

Mauro Agnoletti per il Corriere della Sera

Il dibattito sui fuochi in Amazzonia sembra non fare distinzioni fra gli incendi operati da speculatori e quelli dovuti a pratiche secolari che, specialmente in Brasile, sono molto radicati nella cultura indigena. Si rischia così di accomunare in una generalizzata condanna in nome del clima e della sostenibilità questioni radicalmente diverse. Gli incendi attuali non sono dovuti al cambiamento climatico ma a disboscamenti per mettere a coltura, in modo stabile, nuovi terreni.

I fuochi controllati operati dalle popolazioni indigene prevedono l’incendio della biomassa vegetale in area limitata, la fertilizzazione del terreno con le ceneri, la coltivazione dei cerali per due-tre anni, seguiti dall’ abbandono della coltura e dal ritorno della foresta che ricresce spontaneamente. Ogni anno le comunità indigene cambiano la zona sottoposta a incendio operando così una rotazione delle colture e della foresta in vaste aree del Paese. Queste pratiche erano diffuse in tutti i continenti, Europa ed Italia comprese, e sono in linea con un modello di agricoltura sostenibile, di cui è forse arrivato il momento di chiarire i contenuti e gli obiettivi dell’ Agenda 2030.

Se infatti si intende non toccare alcun bosco, né per produrre legno, né per coltivare la terra e tornare ad una ipotetica naturalità del pianeta, è bene dire che si tratta di un obiettivo irrealizzabile e pericoloso per un mondo che si avvia ai dieci miliardi di abitanti e che deve produrre il 50% in più del cibo entro la fine del secolo secondo le stime Fao. Se invece vogliamo favorire i prodotti coltivati localmente, limitare l’ abbandono e ridurre urbanizzazione ed emissioni, la strategia deve essere diversa. Un’agricoltura a bassa intensità energetica, senza uso eccessivo di chimica, ha bisogno di più terra rispetto a modelli industriali che possono anche quadruplicare le produzioni, ma inquinano ed emettono più CO2, oltre ad estromettere i piccoli contadini da un mercato dominato dalle multinazionali. Il bestiame va allevato anche nei pascoli e nei boschi, se non vogliamo latticini e carne prodotti in stalle dove l’obiettivo è produrre le massime quantità nel più breve tempo possibile.

La foresta amazzonica è importante, ma non è il «polmone del pianeta», produce forse il 6% dell’ ossigeno e le foreste che incorporano più C02 sono quelle che vengono frequentemente utilizzate. Sono le deforestazioni stabili che vanno tenute sotto controllo, non quelle limitate e periodiche fatte dalle popolazioni indigene. Queste comunità, da un lato, rischiano di essere estromesse dai loro territori da parte di parchi e altre iniziative di protezione ambientale, perché le loro pratiche sono considerate insostenibili. Dall’ altro, sono minacciate dai grandi proprietari terrieri, anche perché sprovviste di un riconoscimento legale della proprietà. Anche per questo la Fao iscrive i sistemi agricoli tradizionali che usano il fuoco nel programma di conservazione del patrimonio agricolo mondiale (www.fao.org/giahs), a cui anche alcuni siti brasiliani si sono candidati.

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Siete Pronti per l’Agroecologia?

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È L’ECOLOGIA APPLICATA ALL’AGRICOLTURA – UN CONVEGNO, COORDINATO DA FRANCESCA PISSERI, FARÀ LUCE SU UN APPROCCIO AGRICOLO NUOVO. UN SISTEMA CHE RIDUCA AL MINIMO GLI INPUT CHIMICI E METTA IN SINERGIA LE RISORSE VEGETALI E ANIMALI. PERCHÉ IL BENESSERE ANIMALE È STRETTAMENTE COLLEGATO AL BENESSERE UMANO.

Perchè la rivoluzione agro-ecologica è un ritorno al futuro? Qual è il vantaggio di allevare al pascolo bovini, ovini e suini? E’ realmente fonte di benessere per gli animali e l’ambiente?
È un dato di fatto che la salute dei consumatori e degli operatori agricoli ne risulterebbe favorita, e il ricorso agli antibiotici sarebbe molto più limitato. La copertura del suolo dovuta alla presenza di erba e alberi ha effetti positivi sulla fertilità del terreno e sul sequestro di gas serra e previene i fenomeni di erosione del suolo. Il rispetto degli animali e lo studio dei complessi equilibri degli ecosistemi agricoli pongono le basi per  un allevamento sostenibile dal punto di vista etico, ambientale, economico e socio-territoriale. Questi saranno i temi discussi domenica 9 giugno alla Città dell’Altraeconomia nel convegno “ALLEVAMENTO AL PASCOLO E AGROECOLOGIA” patrocinato dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e organizzato dalle associazioni italiane Agroecologia e Agroforestazione Francesca Pisseri, coordinatrice dell’evento, risponde alle nostre domande.

Cosa è l’agroecologia?
È l’ecologia applicata all’agricoltura. È una scienza, ma anche un movimento. È un approccio agricolo nuovo in cui si intende incentivare i cicli naturali unendo le produzioni vegetali a quelle animali con lo scopo di produrre meno rifiuti e meno inquinamento. Si ricerca l’autonomia dell’azienda agricola costruendo un sistema che riduca al minimo gli input chimici, diminuisca in maniera sostanziale  i consumi di energie non rinnovabili, consumi poca acqua e non emetta gas serra. Lo sviluppo di un’azienda sostenibile accresce la fertilità dei terreni tramite l’aumento della sostanza organica. L’uomo collabora con la natura che gli fornisce servizi ecosistemici e l’uomo deve imparare a servirsene. I sistemi mettono in sinergia le risorse vegetali e animali. Cambia la visione dell’uomo rispetto all’ambiente: non è più l’essere superiore che tutto può e tutto controlla ma è il ricercatore che impara a conoscere la natura e che vuole collaborare con intelligenza con l’ecosistema.

Perché è un “ritorno al futuro”?
I sistemi agricoli un tempo erano sostenibili perché si sviluppavano in un’economia circolare ed erano molto differenziati. Non esistevano le monoculture o i grandi allevamenti e le merci non si dovevano spostare da un continente all’altro. L’agroecologia propone un’azienda agricola molto diversificata, con produzioni animali e vegetali e contemporaneamente introduce innovazioni sia da un punto di vista di meccanica agraria che della comprensione della fisiologia animale e vegetale. Molto importante è l’utilizzo dei sistemi informatici di nuova generazione: agricoltura 2.0

Gli allevamenti bovini e in genere sono considerati tra i grandi responsabili dell’aumento dei gas serra. Perché?
I bovini allevati intensivamente emettono gas serra con le fermentazioni enteriche ma emettono gas serra sia le produzioni dei cereali utilizzati per i mangimi che lo stoccaggio dei liquami. Ogni volta che si lavora un terreno si emette gas serra sia perché si utilizzano i concimi chimici ma anche perché si utilizza combustibile per le lavorazioni. La mancanza di copertura vegetale del suolo nelle varie fasi della coltivazione produce gas serra.

In che modo allevare al pascolo può ribaltare la situazione ?
Il bovino, così come tutti gli animali pascolanti, mantiene le praterie naturali che sempre più vanno scomparendo. Le praterie captano la CO2, e gli animali al pascolo non generano liquami, mantengono la biodiversità, tesaurizzano l’acqua e danno bellezza al paesaggio. Un terreno inselvatichito rischia di perdere biodiversità. Inoltre fertilizzando i terreni arricchiscono il suolo di sostanza organica.

azienda agricola boccea agroecologia 2
Il benessere animale è strettamente collegato al benessere umano. Per quali motivi?
Le carni di animali allevati al pascolo sono ricche di antiossidanti e di omega 3. Sono meno grasse. I  bovini utilizzano gli antibiotici in casi estremi e quindi non si sviluppa il problema dell’antibiotico resistenza.

Tutte le riviste scientifiche lanciano allarmi sull’antibiotico-resistenza . In che modo allevare gli animali al pascolo può essere una soluzione?
Gli animali che possono pascolare e vivere in spazi consoni alla loro etologia e usufruiscono di una buona alimentazione , non sono soggetti a stress e vivono in condizioni dove il contagio è sfavorito dalla biodiversità. Le malattie batteriche sono poco frequenti e quindi c’è scarso bisogno di utilizzare gli antibiotici. Inoltre questo tipo di allevamento non forza gli animali a fare produzioni alte a tutti i costi.

Cosa significa Ecologia della salute? Perché è importante la riconnessione dell’uomo al proprio contesto di vita?
Collega la salute di un individuo o di una popolazione al luogo in cui vive, a cosa mangia e allo stile di vita che si conduce. Bisogna essere consapevoli e ricollegarsi agli ambienti in cui il cibo viene prodotto.

Quanto conta che il consumatore sia al corrente di come vengono prodotti e lavorati gli alimenti?
Si deforesta l’amazzonia per produrre la soia per i bovini allevati intensivamente  e produrre il latte da esportare in Cina. Le aziende diversificate creano i presupposti per la fioritura di produzioni e lavorazioni locali. Per questo è importante la sovranità alimentare e mangiare quello che è prodotto nel proprio paese. Tutti devono saper scegliere il cibo che comprano. Il consumatore deve essere consapevole dell’economia dei processi produttivi e responsabile della propria salute che è la salute di tutti.

Cosa possiamo dire a chi attacca le pratiche agroecologiche come non scientifiche e contrarie al progresso?
La nostra società non percepisce le solidissime basi scientifiche che sono dietro all’agroecologia. I sistemi ambientali non sono facili da studiare. La teoria dei sistemi complessi ci spiega che la legge della causa e dell’effetto non funziona in ambiti così articolati. Un evento può causare dieci, venti, cento effetti diversi. Non ci si trova in un laboratorio in cui il fenomeno può essere isolato. In agroecologia non si possono standardizzare i metodi di coltivazione e di allevamento. Si seguono dei principi ma il modello va ripensato e adattato al luogo in cui si trova l’azienda. Ne seguirà che anche i prodotti saranno meno standardizzati e avranno caratteristiche di maggiore variabilità e tipicità. Ricordiamo che l’agricoltura intensiva provoca un grande dispersione di risorse: produce molti rifiuti, inquina le falde acquifere e i corsi d’acqua con i nitrati provocando la eutrofizzazioni dei fiumi e dei mari, favorisce lo sviluppo dell’antibiotico-resistenza, per non parlare dell’aspetto etico.

Cosa succede se non prendiamo provvedimenti ?
Si mettono a rischio le nostre riserve idriche che in molte zone del pianeta sono già limitate. Aumenta la produzione di gas serra responsabili dei cambiamenti climatici che porteranno a situazioni sempre più estreme e imprevedibili. La fertilità dei suoli continuerà a diminuire e  produrre cibo diventerà sempre più dispendioso. Numerosi studi scientifici hanno già dimostrato i danni che provocano  alla salute umana i prodotti chimici applicati alle produzioni agricole.

Quali sono le azioni da intraprendere per ottenere risultati concreti
Si dovrebbero usare sempre di meno gli alimenti adatti all’uomo come i cereali e i semi proteici, quali per esempio la soia, per alimentare gli animali negli allevamenti intensivi. E’ una grande perdita energetica produrre 1k g di carne bovina con del mais o della soia invece che con erba e fieno. Bisogna consumare meno prodotti di origine animale, e mangiare solo quelli prodotti in maniera sostenibile, per la salute del pianeta e degli umani.

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Perchè le Condizioni del Suolo Sono Così Importanti per il Cambiamento Climatico?

”Perché, a seconda di come è gestito, può essere origine o all’opposto luogo di accumulo del carbonio organico.”

Le pratiche agro-ecologiche del metodo biodinamico sono  considerate uno strumento efficace per la captazione dell’anidride carbonica nel suolo. L’allevamento di animali, inclusi i bovini, utilizzando un sistema di pascolo avvicendato con lo scopo di mantenere un ottimo prato, hanno un rapporto positivo nel consumo di CO2. Così è anche per le pratiche virtuose dell’utilizzo dei sovesci e dell’incremento della materia organica nel terreno -humus- tramite pratiche naturali invece che con l’apporto di concimi chimici assai dispendiosi da produrre in termini di produzione di CO2.

Anche a livello di politica  internazionale stanno seriamente e urgentemente  prendendo in considerazione metodi agricoli virtuosi.

Michele Neri per Il Messaggero

Dopo due settimane di negoziati, la 24esima Conferenza sul Climate Change (Cop24) di dicembre a Katowice, Polonia, sebbene avvenuta tra grandi contrasti, ha almeno prodotto il regolamento necessario per mettere in pratica gli accordi presi tre anni fa a Parigi da 195 Paesi per la riduzione dei gas serra e il contenimento del riscaldamento globale sotto 1,5 gradi centigradi. A questo scopo, una delle tecniche sempre più al centro della discussione scientifica consiste nell’ incrementare la presenza di carbonio nel suolo: oltre a essere promettente e poco onerosa, rende più sostenibile l’agricoltura. Promotrice dell’iniziativa è stata la Francia al summit sul clima di Parigi del 2015: nell’ incoraggiare la ricerca a livello internazionale, il progetto condiviso da decine di Paesi prevede l’impegno ad aumentare la quantità di carbonio nel suolo di quattro parti per mille ogni anno. Se l’obiettivo fosse raggiunto, la quantità di CO2 rimossa dall’ atmosfera sarebbe l’equivalente delle emissioni prodotte dai combustibili fossili di tutta Europa.

La rivista scientifica Nature ha appena dedicato un lungo articolo alla rilevanza che, per il nostro avvenire, può rivestire questo nuovo approccio nei confronti del suolo. Prima firmataria è la geochimica tedesca Cornelia Rumpel, che qui ne spiega le motivazioni.

Perché le condizioni del suolo sono così importanti per il mutamento climatico?

«Perché, a seconda di come è gestito, può essere origine o all’ opposto luogo di accumulo del carbonio organico. Dall’inizio dell’agricoltura qualcosa come 133 giga-tonnellate di carbonio sono state rilasciate dal suolo nell’ atmosfera, dove contribuiscono al cambiamento climatico per l’equivalente di 500 giga-tonnellate di anidride carbonica. Per gestire il suolo in modo sostenibile si deve quindi puntare alla ricostituzione della sua riserva di carbonio. Ciò comporterebbe la riduzione del CO2 dalla nostra atmosfera».

Quali sarebbero gli effetti positivi per clima e agricoltura?

«Con l’adozione di pratiche sostenibili, il suolo potrebbe contribuire a mitigare il riscaldamento climatico, rimuovendo la CO2 dall’ atmosfera attraverso la fotosintesi. L’ anidride carbonica sarebbe immagazzinata nel terreno sotto forma di materia organica. Questo processo aumenterebbe la sicurezza del cibo, perché i terreni ricchi di materia organica sono più fertili. L’ aumento del carbonio nel terreno porta con sé anche una maggiore adattabilità del comparto agricolo di fronte al mutamento climatico. L’ agricoltura diventerebbe meno vulnerabile di fronte a fenomeni come la siccità, perché un terreno ricco di carbonio ha la capacità di immagazzinare meglio l’acqua e i nutrienti per le piante e al tempo stesso resistere all’ erosione. Oltre a ospitare la diversità biologica necessaria a mantenere in salute un ecosistema costretto a garantire un’alta produttività».

Come si procede per aumentare la quantità di carbonio?

«Il suolo minerale deve essere sempre coperto di vegetazione. E per questo, i modi più efficaci sono le pratiche di agricoltura ecologica basata sull’ input di materiale organico, la riduzione dell’uso di fertilizzanti minerali, la coltivazione di legumi e l’adozione di superfici a coltura prativa temporanea. È importante poi prevenire la perdita nell’ aria da parte di terreni ricchi di carbonio organico come le torbiere, che ne costituiscono le principali riserve».

Cosa pensa dei risultati del Cop24?

«Il principale obiettivo delle negoziazioni riguardava il raggiungimento di un corpus di norme dettagliate per l’attuazione degli accordi di Parigi. Anche se non c’ è stata una promessa solenne riguardo alla riduzione delle emissioni, dopo il rapporto recente e drammatico dell’Ipcc (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) è stato acquisito il dato che il livello delle nostre ambizioni debba essere portato più in alto. E immettere carbonio nel suolo del pianeta potrebbe sia alzare il livello delle ambizioni, che contribuire al contenimento del mutamento climatico».

Questo è stato discusso a Katowice?

«Per la prima volta è stato oggetto di un workshop. La questione del carbonio nel suolo è però al centro del gruppo di lavoro di Koronivia che si occupa di implementare le azioni contro il riscaldamento planetario in ambito agricolo e nella catena di produzione del cibo».

Cos’è necessario?

«Occorre la cooperazione tra le diverse parti interessate per identificare soluzioni caso per caso. I benefici dello stoccaggio del carbonio nel suolo devono essere comunicati agli operatori del settore, a politici e opinione pubblica.

E la ricerca dovrebbe concentrarsi sul miglioramento delle pratiche agricole, portando a un utilizzo più efficiente del carbonio già presente nei rifiuti organici».

Quanto tempo ci vorrà?

«Un cambiamento significativo del clima planetario potrà ottenersi soltanto con un taglio deciso delle emissioni di gas serra in tutti i settori. Anche se si ridurranno, l’effetto del passato si produrrà però ancora a lungo. È ormai chiaro che il clima del nostro pianeta potrà essere stabilizzato soltanto aggiungendo ai tagli di emissioni anche emissioni negative, sottraendo cioè carbonio all’ atmosfera. Ci vorranno decine e decine di anni».

Che cosa la preoccupa di più?

«Mi preoccupa la nostra incapacità di riuscire a conservare l’agricoltura com’è adesso in un clima che si modifica. L’aumento della temperatura produce l’innalzamento del livello dei mari, la perdita della biodiversità, e modifiche nelle precipitazioni che a loro volta portano a eventi estremi come siccità o alluvioni. Tutte conseguenze che sono state sottostimate».