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Tutti Parlano di CO2 e dell’Amazzonia | Risposte alle Domande che Ci Facciamo

Tutti Parlano di CO2 e dell’Amazzonia | Risposte alle Domande che Ci Facciamo

Questi  due  articoli  rispondono in maniera semplice ed esauriente alle domande basilari che tutti noi ci facciamo.

Qual è la differenza fra gli incendi provocati dagli indigeni e quella degli speculatori? Qual’è il vero polmone della terra? Ci può essere un metodo per utilizzare i boschi virtuoso e necessario per la loro salvaguardia?

Domande & Risposte | Gli incendi, l’anidride carbonica, il Brasile e la Bolivia

Da La Repubblica

Risponde Giorgio Vacchiano, ricercatore in pianificazione forestale all’ Università di Milano.


L’Amazzonia è il polmone del mondo o no?


No. Stime affidabili dicono che al massimo il 6% dell’ossigeno prodotto nel mondo ogni anno viene dall’ Amazzonia. La gran parte è prodotto dalle alghe foto sintetizzanti negli oceani. Quello che viene emesso dalle piante è solo una piccola parte. Altro ossigeno viene prodotto dai processi geologici di degradazione delle rocce.


Se la foresta diventasse una savana, non avremmo problemi di ossigeno?

Se per assurdo eliminassimo tutte le piante della terra, avremmo ossigeno ancora per 2000 anni.
Ci sono così tanti alberi che l’acqua evaporata dalle foglie crea “fiumi di vapore acqueo” nell’ aria. La foresta crea la propria pioggia. Se togliamo alberi, arriva un punto in cui non saranno più sufficienti a creare la pioggia che serve al sistema.


Quali sono i veri rischi provocati dagli incendi?

L’ anidride carbonica che questi incendi e la deforestazione liberano nell’ atmosfera aggrava il cambiamento climatico. Togliere o aggiungere Co2 fa più effetto che togliere o aggiungere ossigeno.


La liberazione di Co2 che cosa provoca?

L’anidride carbonica agisce come una coperta stesa nell’ atmosfera: fa passare il calore del sole in entrata. Il sistema contiene miliardi di tonnellate di carbonio che, se si liberano, renderanno il cambiamento climatico veloce e inarrestabile. L’ Amazzonia è un conto in banca di carbonio ricchissimo, ma non aumenta né diminuisce da solo.


Che valore ha l’Amazzonia per l’umanità?


Tiene intrappolato il carbonio, fornisce il 25% delle piante usate in medicina e ne ospita decine di migliaia sconosciute alla scienza.


Perché si parla solo di Brasile e non di Bolivia?

La figura dell’estremista di destra Bolsonaro attrae molto più l’attenzione rispetto al leader boliviano Evo Morales. Ma la politica di estrazione mineraria nell’ Amazzonia boliviana provoca anch’essa gravi conseguenze per l’ambiente.

NO AGLI SPECULATORI. MA NON CONDANNATE I ROGHI DEGLI INDIGENI

Mauro Agnoletti per il Corriere della Sera

Il dibattito sui fuochi in Amazzonia sembra non fare distinzioni fra gli incendi operati da speculatori e quelli dovuti a pratiche secolari che, specialmente in Brasile, sono molto radicati nella cultura indigena. Si rischia così di accomunare in una generalizzata condanna in nome del clima e della sostenibilità questioni radicalmente diverse. Gli incendi attuali non sono dovuti al cambiamento climatico ma a disboscamenti per mettere a coltura, in modo stabile, nuovi terreni.

I fuochi controllati operati dalle popolazioni indigene prevedono l’incendio della biomassa vegetale in area limitata, la fertilizzazione del terreno con le ceneri, la coltivazione dei cerali per due-tre anni, seguiti dall’ abbandono della coltura e dal ritorno della foresta che ricresce spontaneamente. Ogni anno le comunità indigene cambiano la zona sottoposta a incendio operando così una rotazione delle colture e della foresta in vaste aree del Paese. Queste pratiche erano diffuse in tutti i continenti, Europa ed Italia comprese, e sono in linea con un modello di agricoltura sostenibile, di cui è forse arrivato il momento di chiarire i contenuti e gli obiettivi dell’ Agenda 2030.

Se infatti si intende non toccare alcun bosco, né per produrre legno, né per coltivare la terra e tornare ad una ipotetica naturalità del pianeta, è bene dire che si tratta di un obiettivo irrealizzabile e pericoloso per un mondo che si avvia ai dieci miliardi di abitanti e che deve produrre il 50% in più del cibo entro la fine del secolo secondo le stime Fao. Se invece vogliamo favorire i prodotti coltivati localmente, limitare l’ abbandono e ridurre urbanizzazione ed emissioni, la strategia deve essere diversa. Un’agricoltura a bassa intensità energetica, senza uso eccessivo di chimica, ha bisogno di più terra rispetto a modelli industriali che possono anche quadruplicare le produzioni, ma inquinano ed emettono più CO2, oltre ad estromettere i piccoli contadini da un mercato dominato dalle multinazionali. Il bestiame va allevato anche nei pascoli e nei boschi, se non vogliamo latticini e carne prodotti in stalle dove l’obiettivo è produrre le massime quantità nel più breve tempo possibile.

La foresta amazzonica è importante, ma non è il «polmone del pianeta», produce forse il 6% dell’ ossigeno e le foreste che incorporano più C02 sono quelle che vengono frequentemente utilizzate. Sono le deforestazioni stabili che vanno tenute sotto controllo, non quelle limitate e periodiche fatte dalle popolazioni indigene. Queste comunità, da un lato, rischiano di essere estromesse dai loro territori da parte di parchi e altre iniziative di protezione ambientale, perché le loro pratiche sono considerate insostenibili. Dall’ altro, sono minacciate dai grandi proprietari terrieri, anche perché sprovviste di un riconoscimento legale della proprietà. Anche per questo la Fao iscrive i sistemi agricoli tradizionali che usano il fuoco nel programma di conservazione del patrimonio agricolo mondiale (www.fao.org/giahs), a cui anche alcuni siti brasiliani si sono candidati.

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