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In che Modo Pensano le Piante?

In che Modo Pensano le Piante?

Ecco un breve estratto di un articolo dal tema affascinante e misterioso scritto da Richard Mabey per il Guardian.

Le Piante Pensano?

I fagioli usano l’ecolocalizzazione per orientare la loro polarità. La durata della memoria della mimosa è dieci volte superiore a quella di un’ape. Le scoperte della botanica confermano l’idea antica che le piante agiscono attivamente nella loro vita.

Il rimpianto neurologo Oliver Sacks scriveva che “non c’è niente di vivo che non sia anche un individuo“.

Sacks era un amante di tutto ciò che è vivente. La passione e l’impegno personale che dedicava ai suoi pazienti li estendeva  anche al resto dell’intera creazione: cefalopodi, ragni, felci di Oaxaca e perfino i mostruosi sopravvissuti delle foreste giurassiche come le Cycadaceae (le più primitive tra le gimnosperme) lo intrigavano come fossero una reliquia del primo tentativo fatto dalle piante  per utilizzare  gli insetti come impollinatori per favorire la fertilizzazione.
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Nel 1990 Sacks stava studiando una rara forma di cecità ai colori che si presentava negli abitanti di alcune isole del Pacifico, probabilmente causata dall’ingestione di una farina di fatta con i semi delle Cycadaceae.

In un brano del suo libro, The Island of the Colorblind, “L’isola dei senza Colore”, il romantico botanico si siede su una spiaggia sotto le palme e comincia a guardare un grosso granchio che sguscia con le chele il nocciolo dai semi giganti di Cycadaceae e nota un singolo seme che viene portato via dalla risacca dell’onda e che comincia a galleggiare nel mare.

Comincia allora a pensare su come questa famiglia di palme preistoriche, composta da un gruppo assai variato di specie che potevano sviluppare polloni resistenti al fuoco e che erano  in grado di fissare l’azoto ben cento milioni di anni prima che i fagioli cominciassero a farlo, siano sopravissute ai dinosauri.
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Guardando quel particolare seme galleggiare, comincia anche a domandarsi di quale peculiarità genetica possa essere dotato perchè quando un giorno atterrerà su un’isola lontana, potrebbe iniziare l’evoluzione di una nuova specie.

Nell’era pragmatica in cui ci troviamo, questo è un modo non ortodosso di guardare alle piante. Capiamo l’importanza del mondo vegetale forse come mai prima d’ora, ma solo in quanto necessarie per i bisogni dell’uomo.

Le piante sono considerate come l’arredamento del pianeta: necessarie, utili, attraenti, ma semplicemente lì, capaci solo di vegetare. Abbelliscono i paesaggi, ci aiutano a respirare meglio ma abbiamo perso il senso dello stupore e del rispetto che dovremmo loro in quanto agenti attivi della loro biografia. Anzi dare loro un valore individuale è considerato un tabù in molti ambiti conservativi e sono analizzate quasi esclusivamente come semplici merci.

Una foresta vergine è considerata un ecosistema al nostro servizio, un capitale naturale e basta.  Probabilmente questo modo di pensare è riduttivo riguardo alla complessità del mondo vegetale che si sta manifestando ai biologi.

Il meccanismo dell’impollinazione delle piante da parte degli insetti è stato scoperto da due botanici tedeschi alla fine del XVIII secolo. La loro scoperta fu quasi ignorata nei circoli scientifici. La vita delle piante e degli insetti funziona sulla reciprocità; in pratica le piante delegano una parte importante del ciclo riproduttivo agli insetti.

Nel 1920 un aspetto più marcatamente sessuale fu osservato sul metodo di impollinazione di una specie di orchidea, la Ophrys Apifera. La pianta con la sua conformazione, sembrava incoraggiare gli insetti ad una pseudo copulazione. L’idea era che l’insetto maschio scambiava questo fiore alato e coperto di peluria per una femmina della sua specie e nel tentativo di accoppiarsi trasferiva il polline.
Ophrys apifera

“Mi sono procurato alcuni fiori di Ophirys Insectifera, una piccola orchidea che assomiglia moltissimo ad un insetto. I fiori sono stretti e scuri con i petali interni arricciati che sembrano delle corna corte. Ho visto le foto dell’insetto impollinatore, una vespa con la vita sottile rigata di giallo che ha forse una lontanissima somiglianza con il fiore dell’orchidea. L’ho annusata, leccata e strofinata sulla mie labbra e non ho avvertito alcuno odore particolare. Ma al tatto potevo sentire sulla pelle una tessitura che mi ricordava quella della lingua.

Ho preso il fiore per osservarlo al microscopio. L’ho ingrandito 10 volte e ancora aveva l’aspetto di un fiore. La superficie era coperta di papille e spugnosa. Ma la mia attenzione è stata catturata da un triangolo nero capovolto che aveva un aspetto veramente pubico, quasi come una qualsiasi rappresentazione della fertilità di epoca paleolitica.

Ho ingrandito il fiore cinquanta volte e a questo punto sotto le lenti del microscopio è diventato un paesaggio luccicante. I singoli peli erano adesso perfettamente visibili e cosparsi di una rugiada iridescente. Quando mi sono spostato con la visuale sulla macchia scura ho individuato due mezze lune brillanti fatte da minuscole macchie isolate di colore blu come fossero dei piccolissimi led. Mi sono chiesto se fosse la luce del microscopio a crearle ma anche quando l’ho spenta erano ancora lì. Ho riacceso la luce e qualche minuto dopo e mi sono accorto della presenza di un profumo straordinario che proveniva dal  fiore, come di un  muschio dolce e carnoso.

Sono sicuro che si trattasse dell’allomone, una sostanza chimica prodotta dalla piante che imita perfettamente il ferormone sessuale della femmina di vespa. Il calore della lampada l’ha reso percettibile all’olfatto umano”.

Le scoperte sulla comunicazioni tra specie differenti di piante hanno aperto nuove frontiere alla botanica, rivelando più di venti sensi differenti che possono essere descritti anche come intelligenza vegetale.

I fagioli  usano l’ecolocalizzazione per orientare la loro polarità. Una vite della Patagonia può modificare il colore e la forma delle foglie per imitare quelle dell’albero sul quale si sta arrampicando. La Mimosa è una pianta sensitiva, può imparare  a riconoscere lo stimolo per il quale è utile chiudere le foglie per difendersi da quello innocuo e può conservare questa memoria per un lasso di tempo dieci volte più a lungo delle api.

Intere foreste sono legate da una rete sotterranea di radici fungine che trasporta ed equilibra i nutrienti e invia segnali riguardo a malattie, siccità attraverso tutto il network.

I tradizionalisti hanno deriso il tentativo di descrive le strategie di  sopravvivenza e di apprendimento in organismi che non hanno il cervello. Il filosofo Daniel Dennet ha definito questo atteggiamento cerebrocentrismo e ha osservato che noi troviamo difficile e forse anche umiliante concepire che l’intelligenza può esistere e  manifestarsi in altre forme ben diverse dal nostro cervello.

In ogni caso queste nuovo scoperte confermano la validità della definizione di Sacks che chiama le piante agenti attivi in evoluzione. Forse è la neurologia delle piante?

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