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Mangiare è un Atto Agricolo

Mangiare è un Atto Agricolo

LA RIVOLUZIONE VERDE DI WENDEL BERRY ISPIRATORE DEL CIBO SANO PULITO E GIUSTO COME QUESTIONE POLITICA: “LA TERRA A CHI LA LAVORA. COLTIVARE È UN ATTO POLITICO. CHI POSSIEDE LA TERRA, POSSIEDE IL PAESE. E DIFENDERE LA FATTORIA A CONDUZIONE FAMILIARE È UN PO’ COME DIFENDERE LA COSTITUZIONE”.

Wendell Berry uno dei grandi punti di riferimento intellettuali dell’ambientalismo mondiale e degli ormai imponenti movimenti di produttori e consumatori di cibo “buono, pulito e giusto”. Il grande successo di Slow Food negli Stati Uniti e le campagne di Michelle Obama contro l’obesità e la cattiva alimentazione affondano le loro radici anche nel lavoro di Wendell Berry.
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Nei primi anni Sessanta, poco più che ventenne, un americano del Kentucky trascorre parecchi mesi in Toscana, con moglie e figlio piccolo. Si chiama Wendell Berry, è un giovane letterato fortemente influenzato dalla tradizione ambientalista “romantica” americana, da Emerson a Thoreau.

Il paesaggio agricolo toscano è, per il giovane Berry, una folgorazione. Le dimensioni dei fondi, la varietà delle colture, il riutilizzo parsimonioso delle risorse, il rispetto dei cicli naturali, non ultima l’armonia del visibile gli sembrano esemplari.

«Mangiare è un atto agricolo», forse la sua frase più paradigmatica, è anche il titolo della notevole raccolta di saggi, discorsi, riflessioni agronomico-filosofiche che il pubblico italiano, grazie a un piccolo editore (Lindau), può finalmente valutare in tutta la sua forza polemica.

IL PIACERE DI MANGIARE
di Wendell Berry,
Lindau editore, Torino, 2015.
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LiDa che distanza arriva il nostro cibo e quanto il trasporto ha aggiunto al costo, quanto la trasformazione industriale, l’imballaggio e la pubblicità incidano sul prezzo.

Quando l’alimento è stato trasformato, manipolato o precotto, che effetti hanno avuto queste operazioni  sulla sua qualità, sul valore nutritivo e sul prezzo? La maggior parte degli abitanti delle città che fanno la spesa dicono che gli alimenti sono prodotti nelle aziende agricole. Ma in genere non sanno quali aziende agricole, o che tipi di aziende agricole, dove si trovano, né quali conoscenze e abilità sono in gioco in agricoltura.

A quanto pare non hanno dubbi sul fatto che gli agricoltori continueranno a produrre, ma non sanno come né superando quali ostacoli. Per loro, perciò, l’alimentazione è un’idea parecchio astratta, una cosa che non conoscono né immaginano, finché non compare sulla tavola o sullo scaffale dei prodotti alimentari.
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La specializzazione della produzione provoca la specializzazione dei consumi. Per esempio, i clienti abituali dell’industria del tempo libero sono sempre meno capaci di intrattenersi da soli e sono diventati sempre più passivamente dipendenti dai fornitori di divertimenti a pagamento. Ciò è sicuramente vero anche dei clienti abituali dell’industria alimentare, che hanno sempre più la tendenza a diventare dei meri consumatori, passivi, acritici e dipendenti. Questo tipo di consumo può essere considerato sicuramente uno degli obiettivi principali della produzione industriale.

Gli industriali dell’alimentazione sono riusciti a persuadere milioni di consumatori a preferire alimenti già pronti. Coltivano, cucinano, vi portano i pasti e (proprio come la vostra mamma) vi supplicano di mangiare. Non vi offrono ancora di infilarvelo in bocca premasticato solo perché non hanno ancora scoperto un modo di farlo che permetta di aumentare i profitti. Possiamo star sicuri che sarebbero ben contenti di scoprirlo. Il consumatore industriale ideale sarebbe legato a una tavola con un tubo in bocca che va direttamente dall’impianto alimentare al suo stomaco.

Forse esagero, ma non di molto. Il mangiatore industriale infatti non sa che mangiare è un atto agricolo, non conosce più né immagina i collegamenti che esistono fra l’atto di mangiare e la terra ed è perciò necessariamente passivo e acritico, in parole povere, una vittima.

Quando il cibo, nelle menti di coloro che lo mangiano, non è più legato all’agricoltura e alla terra, si soffre di un’amnesia culturale pericolosa e fuorviante. L’attuale visione della futura “casa di sogno” comprende il far la spesa “senza fatica” da una lista di beni disponibili su un monitor televisivo e mangiare cibo precotto attraverso il controllo remoto.

Ovviamente tutto ciò dipende e implica una perfetta ignoranza della storia del cibo consumato. Esige che i cittadini rinuncino alla loro avversione ereditaria a comprare un maiale infilzato in uno spiedo. Desidera trasformare la vendita di maiali infilzati in un’attività onorevole e attraente.
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Il sognatore in questa casa di sogno per forza non saprà nulla della qualità di questo cibo, da dove viene, di come è stato prodotto e preparato, o quali ingredienti, additivi, e residui contiene, a meno che il sognatore non si impegni in un accurato e continuo studio dell’industria alimentare, nel qual caso potrebbe anche svegliarsi e giocare un ruolo attivo e responsabile nell’economia alimentare.

Esiste perciò una politica alimentare che, come qualsiasi altra politica, mette in questione la nostra libertà. Ancora (ogni tanto) ci ricordiamo che non siamo liberi se le nostre menti e parole sono controllate da qualcun altro. Ma abbiamo omesso di capire che non possiamo essere liberi se il nostro cibo e le sue risorse sono controllate da qualcun altro.

La condizione del consumatore passivo di alimenti non è una condizione democratica. Una delle ragioni per mangiare responsabilmente è di vivere liberi. Ma se esiste una politica alimentare, esiste anche un’estetica alimentare e un’etica alimentare, nessuna delle quali è separabile dalla politica. Come il sesso industriale, anche l’alimentazione industriale è diventata una cosa povera, degradante e meschina.

Le nostre cucine e gli altri luoghi in cui si mangia assomigliano sempre più a distributori di benzina, e le nostre case somigliano sempre più a motels. “La vita non è poi molto interessante” sembriamo aver deciso. “Lasciamo che le sue soddisfazioni siano minimali, veloci e distratte”.

Attraversiamo di corsa i nostri pasti per andare a lavorare e attraversiamo di corsa il nostro lavoro per andarci a “ricreare” la sera, nei fine-settimana o nelle vacanze. E poi corriamo alla massima velocità possibile, nel rumore e nella violenza, attraverso la nostra ricreazione. Perché? Per mangiare il miliardesimo hamburger in un qualche fast-food pronto a tutto per migliorare la “qualità” della nostra vita? E tutto questo si svolge nell’oblio più totale delle cause ed effetti, delle possibilità e degli scopi della vita del corpo in questo mondo.
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Si può riconoscere questo oblio rappresentato nella sua verginale essenza nella pubblicità dell’industria alimentare, nella quale il cibo si porta addosso la stessa quantità di trucco degli attori. Se ci si formasse una competenza alimentare su questa pubblicità (come alcuni presumibilmente fanno), non si saprebbe se i vari alimenti siano mai stati esseri viventi o che tutti vengono dalla terra, o che sono stati prodotti dal lavoro umano.

Il consumatore americano passivo, seduto davanti a un pasto di alimenti precotti o di fast-food, vede un piatto ricoperto di sostanze inerti, anonime, che sono state trasformate, colorate, impanate, riempite di salsa, devitalizzate, macinate, spappolate, artificializzate, frullate, ingraziosite e igienizzate al di là di ogni somiglianza a qualsiasi parte di qualsiasi creatura sia mai vissuta su questa terra. I prodotti della natura e dell’agricoltura sono stati resi, all’apparenza, prodotti dell’industria.

Sia chi mangia sia chi è mangiato viene così esiliato dalla realtà biologica. Ne risulta un tipo di solitudine senza precedenti nell’esperienza umana, in cui chi mangia può pensare al mangiare come una mera transazione commerciale fra lui e un fornitore e poi come uno scambio esclusivamente di appetito fra se stesso e il proprio cibo. E questa strana specializzazione dell’atto di mangiare è di nuovo ovviamente benefica per l’industria alimentare, che ha buone ragioni per oscurare i collegamenti fra alimenti e coltivazioni.

Non sta bene far sapere al consumatore che l’hamburger che sta mangiando è fatto con pezzetti di carne che provengono da quaranta manzi diversi che hanno passato gran parte della loro vita in piedi camminando in uno spesso strato dei loro escrementi in un capannone di alimentazione e contribuendo a inquinare i corsi d’acqua locali, o che il vitello che ha prodotto la fettina nel suo piatto ha passato la vita in un box in cui non aveva lo spazio per girarsi…

Anna

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